Alla ricerca del “suono delle Dolomiti”

Il Festival de I Suoni delle Dolomiti è molto più di una serie di concerti in alta quota. È un’esperienza che intreccia la potenza evocativa della musica con la maestosità delle Dolomiti.

Alla vigilia della XXIX edizione, abbiamo intervistato il direttore artistico, Mario Brunello, che ha partecipato al Festival fin dalla sua prima edizione. Violoncellista di fama internazionale, Mario ha un legame profondo con le Dolomiti, che considera un luogo di ispirazione e di scoperta musicale. In questa intervista, ci parla della sua esperienza al Festival, delle sfide e delle soddisfazioni della sua direzione artistica e della sua visione della musica in un contesto straordinario.

Fin dalla sua prima edizione, cosa ti ha spinto a partecipare al Festival?

Io ho una casetta in montagna, sperduta in mezzo ai prati o in mezzo alle piste di sci, dipende dalla stagione. Da quando ero un ragazzino, ho sempre portato con me il violoncello in spalla e ho sempre cercato dei posti particolarmente ispiranti, diciamo, per andare a studiare, quando la musica era ancora un miraggio…

L’idea di portare la musica in un contesto naturale come quello delle Dolomiti è stato, quindi, naturale per te?

Quando nel ‘95 Mauro Pedron mi ha chiamato per propormi un concerto in mezzo alle Dolomiti ho visto realizzarsi un sogno, qualcosa che io avevo adottato da sempre come un sistema per concentrarmi, per isolarmi, stare a tu per tu col mio violoncello. Ma non avrei mai immaginato che nella mia vita musicale qualcuno potesse organizzare seriamente una cosa così bella. Quindi accettare è stata la cosa più naturale del mondo, sì.

Oltre alla bellezza del paesaggio, cosa rende I Suoni delle Dolomiti un’esperienza unica sia per gli artisti che per il pubblico?

Te lo racconto con questo ricordo. Al mio primo concerto, sotto le Torri del Vajolet, è arrivata una signora, partita apposta da Bergamo per ascoltare il concerto. È arrivata in ritardo, quando la musica era già finita. Era disperata. Non mi sono reso conto subito che era non vedente. Lei aveva il sogno di ascoltare la musica in mezzo alle Dolomiti, non di vedere le montagne, di sentirle attraverso la musica. Proprio lei che voleva essere in quel silenzio, in quello spazio per ascoltare la musica, mi ha fatto capire che l’idea del Festival era vincente.

Quali sono le sfide che hai dovuto affrontare come direttore artistico del Festival?

C’è sempre una grande attenzione nella scelta degli artisti. La sfida più grande è quella di riuscire a coinvolgerli, riuscire con le parole a descrivere una situazione che succede nel momento e che è per sua natura indescrivibile. Ai colleghi musicisti devo riuscire a far capire che non c’è un’acustica ma c’è uno spazio da riempire con la musica. Una volta che li hai convinti e sono venuti, sono i primi a dire “sono pronto a tornare in qualsiasi momento”. Noi musicisti siamo abituati a vedere e a sentire un suono che torna alle nostre orecchie attraverso l’acustica, attraverso la risonanza delle belle sale, delle pareti di legno, delle risonanze speciali, degli auditorium, dei teatri, …

Come descriveresti il “suono delle Dolomiti”?

È un suono da inventare, un suono che si costruisce per te stesso e per chi ti sta ascoltando nel momento in cui accade. Non è un suono predefinito, si crea nell’incontro tra la musica, ambiente e pubblico. È un’esperienza unica e irripetibile.

C’è qualcosa che ti rende particolarmente orgoglioso di questi 29 anni di Festival?

Vedo che si è consolidato un format che è giusto mantenere integro con le sue colonne che sono il Trekking e i concerti all’alba che hanno il potere di mantenere nel tempo lo spirito del Festival. Il Festival è riuscito a mantenere intatti i suoi valori fondanti: l’amore per la musica, la passione per le Dolomiti e il desiderio di condividerli con il pubblico.

Cosa ti aspetti dal futuro del Festival?

Il Festival sarà ancora così. Continuerà a evolversi, mantenendo però saldi i suoi valori originari. La ricerca del “suono delle Dolomiti” continuerà, e chissà che nei prossimi 30 anni non si riesca a definirlo con maggiore precisione.

Che effetto fa avere tuo figlio Pietro quest’anno a suonare con te al Trekking?

Pietro che è il terzo, è il figlio più piccolo ed è già stato a vari trekking fin da quando era bambino.

Lo ho portato sempre in braccio e adesso il pubblico vedrà che non solo non sono più io a tenerlo tra le braccia ma che sarà lui a portarmi nel suo mondo musicale che è quello del cantautorato, delle ballate. Una musica che adoro ma che non frequento da professionista. È come avere una nuova guida alpina che mi porta in un sentiero sconosciuto. Bello!

In definitiva, qual è la musica del Festival de I Suoni delle Dolomiti?

La musica è un grande racconto. Da quando la musica è nata, è un racconto che non finisce mai. Qui il pubblico ha la fortuna di sentire la sua musica del cuore amplificata, allargata, senza orizzonti. Come lo sono le cime delle Dolomiti che fanno sognare, sempre immaginare che ci sia qualcosa di più là sopra, sopra le cime.

Un’ultima domanda. Perché hai deciso di dedicare la tua vita alla musica?

Perché con la musica le persone mi ascoltavano…