La felicità è un sentiero di montagna

Alla vigilia della XXIX edizione, abbiamo intervistato Chiara Bassetti, che fin dagli esordi ha dedicato la sua vita professionale, e personale, al Festival. Chiara ci racconta perché la montagna non si piega alle mode e perché I Suoni delle Dolomiti sono un’esperienza di felicità che comincia nel momento in cui scegli di partire, che si amplifica quando inizia la musica e che lascia la sua impronta nel ricordo.

Come nasce il Festival?

Il Festival è nato come parte di una strategia di comunicazione che utilizzava gli eventi per valorizzare l’identità del Trentino. L’idea era quella di creare eventi legati al territorio, che riuscissero ad amplificare la sua natura, senza manometterla o manipolarla.

 

 

Qual è il tuo primo ricordo del Festival?

Il mio primo ricordo è legato al primissimo concerto e a un piccolo convegno che si è tenuto la mattina prima dell’inizio. Era un convegno coordinato dal giornalista e critico musicale Angelo Foletto sul tema del rapporto tra musica e montagna. Mi vedo lì, seduta nell’anfiteatro del Brenta, dietro la chiesetta, ad ascoltare le sue parole. A pensarci sono ancora lì. E mi commuovo…

Cosa ti emoziona di più quando pensi al Festival?

Essere riusciti a portare avanti per 29 anni un evento senza mai tradirne i valori fondanti, come il rispetto per la natura e un approccio che fosse il meno invasivo possibile. Uno stile che ha anche un ruolo educativo dal punto di vista ambientale. Sono gli artisti che si devono adattare al Festival, alla montagna e a quello che la montagna permette, non viceversa. Non abbiamo mai introdotto un palco o una pedana, nulla che non fosse già presente in natura nel suo palcoscenico di roccia. Il Festival ha mantenuto la sua essenza originale, senza farsi distrarre dalle mode o dalle trasformazioni. Questo è un aspetto di cui sono particolarmente orgogliosa.

Qual è la nota caratteristica del Festival?

È la felicità che il Festival porta alle persone. Le persone che partecipano al Festival sono felici di essere lì, in quel momento, e di aver scelto di vivere quell’esperienza. Non è solo il concerto in sé, ma tutta l’esperienza che parte dal momento in cui si sceglie di partecipare, regalarsi un concerto in una situazione speciale. Lo vedi negli occhi delle persone quando vengono a ringraziare. Incontri e saluti persone felici.

Quali sono i progetti speciali che ricordi con più affetto?

Ci sono stati tanti progetti speciali nel corso degli anni. Ricordo con piacere i Canti Rocciosi di Giovanni Sollima al Rifugio Boè, composti appositamente per il Festival e presentati per la prima volta al Rifugio. E poi la collaborazione con Ezio Bosso, che, dopo averlo ascoltato dal vivo, ho proposto a Paolo Manfrini, allora direttore artistico e ideatore del Festival, di fargli comporre qualcosa per noi ed è nato il bellissimo “Under the Trees’ Voices”. Ogni progetto speciale è una sfida, ma anche un’opportunità per creare qualcosa di unico e memorabile. E poi, tornando indietro, ricordo la prima alba che abbiamo fatto, al rifugio Alimonta. Quattro ore a piedi di cammino di notte, c’era Brunello con Erri De Luca, e sono arrivate su 400 persone. È stata un’emozione pazzesca. una roba incredibile. E, nello stesso anno, un’altra alba a Baita Segantini con Alessandro Baricco con addirittura 1500 persone!

Cosa sarebbe stata la tua vita senza il Festival?

Senza il Festival, la mia vita sarebbe stata sicuramente meno dinamica. In montagna ci sono sempre andata, ma grazie al Festival ho avuto modo di frequentarla molto di più. Lavorare al Festival mi ha dato la possibilità di intrecciare la mia vita professionale con le mie passioni. È stata ed è un’avventura che mi ha regalato emozioni e soddisfazioni. Delle volte la vita ti riserva veramente delle fortune incredibili…

Di cosa sei particolarmente orgogliosa di questi 29 anni di Festival?

Sono orgogliosa di aver incontrato tante persone meravigliose, sia tra gli artisti che tra il pubblico. Ho visto nascere amicizie che continuano ancora oggi. Il lavoro al Festival è diventato parte integrante della mia vita, intrecciandosi con le mie relazioni e il mio modo di essere. È stata quasi una missione, passami il termine, perché ci ho dedicato davvero tante energie, sono stata sempre presente.

Che ricordo hai di Paolo Manfrini?

La mia fortuna di incrociare Paolo è stata la chiave di volta della mia vita professionale perché Paolo era una persona vulcanica, curiosa. Lui aveva una visione molto chiara e trovava sempre il modo, anche di fronte agli ostacoli, di farla vedere agli altri. Da lui ho imparato tantissimo. Ho lavorato con lui per 32 anni e non finirò mai di ringraziarlo per tutto quello che mi ha insegnato e per le opportunità che mi ha dato, nel senso che lui nell’insegnare mi dava la possibilità di esprimermi anche quando non la vedevamo allo stesso modo perché io, insomma, ho un carattere fumantino… È stata una delle persone fondamentali della mia vita.

C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere sul Festival?

Vorrei sottolineare che il Festival dei Suoni è stato il primo Festival in Italia di questo genere. Oggi ci sono tanti Festival che portano la musica in luoghi non convenzionali. Adesso i concerti si fanno ovunque, anche all’alba. Si fanno nei parchi urbani, sul mare, ovunque nei luoghi non canonici, perché se puoi farlo in montagna puoi farlo ovunque. Ma noi siamo stati i primi a farlo. È un’eredità importante di cui andiamo fieri.

Hai un messaggio per questa edizione del Festival?

Auguro lunga vita al Festival! Sarà un’edizione incredibile, con artisti importanti di vari generi musicali. Sono certa che chi parteciperà vivrà un’esperienza indimenticabile. La speranza è che il tempo sia clemente, perché la meteorologia è l’unica cosa che non possiamo controllare…